C. FABRO, Breve introduzione al Tomismo
Editrice del Verbo Incarnato, Segni 2007, pp. 163
Prosegue con encomiabile continuità la pubblicazione – che l’Editrice del Verbo Incarnato si è assunta il compito di curare – dell’Opera omnia del padre stimmatino Cornelio Fabro, uno dei maggiori filosofi del Novecento conosciuto particolarmente per gli studi sul pensiero di san Tommaso d’Aquino e di Kierkeegard, nonchè per l’analisi dell’ateismo moderno.
Nel 2007 ha visto la luce un noto testo fabriano: Breve introduzione al Tomismo, un’opera che al di là del titolo è caratterizzata da una esposizione puntuale e articolata della riflessione del grande teologo medievale.
L’Autore, dopo una sintetica biografia del Santo, procede nel delineare le fasi di formazione del suo pensiero filosofico-teologico. Tommaso, fin dalla giovane età entra in contatto con le opere di Aristotele quando si trova a studiare presso l’Università di Napoli, seguendo le lezioni dei due maestri Pietro d’Irlanda e Martino di Dacia. Questo primo accostamento con le opere dello Stagirita rappresenta un momento decisivo per il futuro orientamento verso l’aristotelismo. La preferenza accordata ad Aristotele nei confronti di Platone non deve far pensare ad una contrapposizione dei due autori, ma deve essere vista in funzione di una teoresi che ne accoglie la lezione e prosegue intensivamente oltre entrambi.
E’ anche vero che il platonismo con cui Tommaso si è confrontato non è tanto quello di Agostino, bensì quello della tarda elaborazione di Plotino. Tommaso accoglie la dottrina del Dottore africano soprattutto nelle questioni teologiche, sulla Trinità, il peccato e la Grazia. E’ sul piano filosofico che le due strade si dividono, «dove l’aristotelismo tomista non poteva accettare compromessi» (p. 21).
Il capitolo centrale (il IV°) introduce ai principi della filosofia dell’Aquinate. Tommaso – segnala Fabro – non si è affidato nè ad un “puro” platonismo nè ad un “puro” aristotelismo, nella misura in cui ciascuno dei due si presentava incompatibile con la fede cristiana, secondo la quale il mondo è creato da Dio ed è un mondo concreto con una propria consistenza di realtà. Talchè «l’uomo in questo mondo deve cercare la verità e vedere il riflesso stesso di Dio» (p. 33). Tuttavia il pensiero aristotelico risulta determinante nell’impostazione tommasiana sia per quanto attiene alla struttura del conoscere – si pensi, ad esempio alla cogitativa come funzione interna di raccordo fra l’intelletto e il se, fra la volontà deliberante e l’appetito concupiscibile e irascibile; oppure al concetto di verità come conformità dell’intelletto alla realtà – sia per quanto riguarda la struttura dell’essere con il nuovo concetto che Tommaso elabora dell’atto di essere.
In campo morale la legge naturale, al di là delle oscillazioni presenti nella Patristica, viene assunta come partecipazione della legge eterna nelle creature razionali. Essa si rende nota a partire dalla sinderesi, ovvero, dalla conoscenza dei primi principi morali. L’atto umano si viene determinando in ragione dell’esercizio della retta ragione, avendo come riferimento dell’atto stesso la conformità alla legge naturale.
Tra le vette dottrinali di Tommaso rimane la sintesi fede-ragione e natura-grazia. Mentre l’agostinismo propendeva per la supremazia della volontà sull’intelletto, Tommaso fa emergere il primato dell’ intelletto (nell’ordine della specificazione dell’atto). E’ vero che la fede supera la ragione, ma la ragione presenta gli argomenti razionali che permettono di avvicinarsi alla fede, consente di pensare concetti che ne indicano l’intelligibilità.
Con la nozione di partecipazione Tommaso supera gli scogli in cui si era infranto il pensiero greco (non dimentichiamo che i pensatori greci non conoscevano il principio di creazione ex nihilo, e ritenevano che il mondo esistesse ab aeterno), fondando l’analogia entitativa e intendendo intensivamente il rapporto tra l’Ipsum esse subsistens e gli enti contingenti.
La dottrina tomistica ha cominciato a penetrare nella dottrina ufficiale della Chiesa sin dalla canonizzazione dell’Aquinate, avvenuta nel 1323 da parte di Giovanni XXII. In particolare è nei tempi moderni che la Chiesa ha ufficialmente designato Tommaso quale Dottore comune (durante il Concilio di Trento 1545-1563 i Padri conciliari avevano due testi immediatamente disponibili per consultarsi, la Sacra Scrittura e la Somma Teologica di san Tommaso), riconoscendo ad essi un’autorità dottrinale superiore a tutti gli altri pensatori cattolici.
Il suo pensiero è stato oggetto non solo di critiche ma anche di interpretazioni fuorvianti. Verso la fine del secolo XIX la sua elaborazione filosofica-teologica è stata oggetto di una “rinascita” grazie soprattutto all’opera di due pontefici: Leone XIII con l’enciclica Aeterni Patris (del 4 agosto 1879) e San Pio X. Il primo ha voluto che la filosofia e la teologia di Tommaso fossero insegnate in tutti i Seminari e le Università cattoliche. Il secondo ha stabilito che non ci si deve allontanare minimamente dal pensiero del Dottore Angelico.
Fabro dedica, inoltre, un capitolo al rapporto tra la Scolastica e il Tomismo. La Scolastica è definita come la filosofia medievale (cristiana) e più specificamente «quel movimento dottrinale che si propone una concezione sistematica del mondo e dell’uomo in accordo con la Rivelazione e la fede» (p. 86).
Il confronto tra il Tomismo e il pensiero moderno conclude il Testo. Il pensiero moderno, inteso non in senso cronologico ma in senso teoretico, è caratterizzato dal rifiuto della tradizione scolastica medioevale, e quindi anche del Tomismo considerato come una forma di pensiero ormai superata, a motivo dell’accoglimento sempre più radicale del “principio d’immanenza”.
Dapprima il nominalismo, poi l’Umanesimo e il Rinascimento in seguito la Rivoluzione protestante ed infine l’affermarsi dell’immanentismo seguono la linea di un progressivo distacco dal realismo metafisico classico, che si condensa in una frattura intellettuale innegabile.
Il testo fabriano in parola si rivolge particolarmente a coloro che intendono avvicinarsi al pensiero dell’Aquinate in modo rigoroso ed organico. Ciò che la ricostruzione e la penetrazione, che contraddistingue gli scritti di Cornelio Fabro, consentono nitidamente.
Carlo Degano